Razzismo, sessismo e frustrazione giovanile quarant’anni dopo “La febbre del sabato sera”

Razzismo, sessismo e frustrazione giovanile quarant’anni dopo “La febbre del sabato sera”

Era il 16 dicembre del 1977. Nelle nelle sale americane esce ‘La febbre del sabato sera’, il celebre film che consacrerà John Travolta a stella indiscussa di Hollywood

Una pellicola di successo senza precedenti diventata ormai un cult cinematografico, un’icona dei giovani di periferia di tutto il mondo che cercavano una forma di riscatto alle loro esistenze borderline. Perché se fu vero che La febbre del sabato sera fu un film di musica e ballo, i protagonisti assoluti furono i ragazzi che vivevano ai margini delle grandi città, vittime invisibili di gravi discriminazioni sociali. Nonostante i 4 decenni che ci separano dall’uscita del film che ha colpito l’immaginario collettivo di un’intera generazione, i problemi esistenziali dei giovani della Brooklyn degli anni ’70 sembrano sorprendentemente attuali e persino familiari alla generazione 2.0.
Alla vigilia della proiezione italiana, il nostro Paese aveva da poco salutato il 1977, e con esso l’indimenticabile Elvis Presley ed il ricordo del suo ultimo e straordinario concerto a Memphis.

L’Italia festeggiava l’arrivo del 1978 ballando sulle note di Figli delle stelle di Alan Sorrenti ed una buona parte di ragazzi conosceva già le luci di Guerre Stellari e il sudore di Rocky Balboa.
Eravamo nel pieno degli anni di piombo, immersi nei quotidiani bollettini di violenze e atti di terrorismo. Le grandi città italiane stavano vivendo quegli anni bui che Indro Montanelli definì gli anni di fango. Tre giorni prima del rapimento di Aldo Moro e precisamente il 13 marzo del 1978, dopo una serie di censure a causa di contenuti ritenuti volgari per l’epoca, nelle sale italiane arrivò La febbre del sabato sera, il film che diventerà leggenda quanto coloro che ne scrissero la straordinaria colonna sonora, i Bee Gees.

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Dopo una sola settimana, la colonna sonora – Saturday Night fever – era già al 1° posto in classifica, diventando l’album più venduto di tutti i tempi prima della pubblicazione di Thriller di Michael Jackson, con ben 5 Grammy e 40 milioni di copie vendute in tutto il mondo.
Il film fu vietato ai minori di 14 anni, ma il personaggio di Tony Manero divenne un simbolo di libertà per intere generazioni che trovarono nelle discoteche un nuovo luogo di aggregazione e di evasione, dopo anni di tensioni politiche e sociali. Il film definito “storicamente e culturalmente significativo” ed inserito nel National Film Registry, affronta temi sociali ancora attuali come l’emigrazione, l’uso di stupefacenti nelle discoteche, il razzismo, la violenza sessuale e le guerre tra bande.
La trama, ispirata ad una finta inchiesta giornalistica pubblicata sul New York Magazine da Nick Cohn, raccontava la vita notturna delle comunità povere di Brooklyn che frequentavano il club 2001 Odissey.
Il protagonista della storia è Tony Manero, impersonato da John Travolta, figlio di emigrati italiani, che di giorno lavora come commesso in un negozio di vernici e di notte sfoga la sua rabbia repressa sulla pista da ballo. Il carisma del giovanissimo attore e il suo ineguagliabile e straordinario, trasforma Tony Manero in un modello di riferimento per i giovani delle periferie newyorkesi, nonostante fosse un personaggio sessista, razzista e tronfio. Un tam tam che arriva ai ragazzi di ogni angolo del mondo, che vedono nella sua esistenza e nel suo personaggio il riscatto sociale tanto agognato.

Il produttore Robert Stigwood, reduce dai trionfi di Jesus Christ Superstar, Hair e Tommy, pagò 90.000 dollari per ottenere i diritti cinematografici. La pellicola incassò complessivamente 237.113,184 dollari in tutto il mondo.
Il giorno in cui Saturday Night Fever fu proiettato per la prima volta nei cinema americani, John Travolta aveva solo 23 anni ed era un perfetto sconosciuto. Quando l’anno successivo uscì Grease, lui era già un mito, il film una leggenda.

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