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La regina. Storie di ordinaria solitudine

Anziani scomodi e sempre più soli, dimenticati nelle case di riposo, costretti a trascorrere gli ultimi anni di vita nell’abbandono e nell’indifferenza.

Allontanati dalla vita quotidiana, privati della loro casa, degli oggetti familiari e dei ricordi che rappresentano gli unici punti di contatto con il proprio passato, l’unico legame con un mondo che un tempo li ha voluti, l’unica ragione per sopportare un presente senza nessuna prospettiva, senza più un sogno da realizzare.

Parcheggiati da qualche parte purché lontani dalla vista, in attesa di andarsene per sempre. Sono lì, ad aspettare con rassegnazione la fine, che spesso arriva dopo anni di solitudine e sofferenza.

Una testimonianza (immaginaria) per sensibilizzare l’opinione pubblica ad avere rispetto per chi ha costruito per noi il mondo in cui viviamo. Uno spaccato di vita nel suo tragico finale per indurre le nuove generazioni a riflettere sul processo naturale dell’invecchiamento dal quale nessuno è escluso, e che non può essere fermato, in ogni caso, da una società che basa tutto sull’apparenza.

Mi chiamo Incoronata e ho 91 anni.
Un nome che si adatta bene alla mia età e a questi quattro capelli rimasti in testa.
Eppure avevo lo stesso nome anche quando ero giovane e graziosa e quando avevo le gambe lunghe e affusolate.
Mi chiamavo Incoronata quando guardavo il mondo con due occhi ambrati e curiosi, e quando mi dicevano che se fossi nata in America avrei di sicuro fatto l’attrice.
E mi chiamavo Incoronata il giorno in cui incontrai mio marito, un uomo buono e con le spalle rassicuranti che da quel momento decise di farmi sua regina.
Ci sposammo in una fredda domenica d’inverno, lui con le scarpe di cuoio del compare, io con il sole nel cuore.
Siamo stati felici per settant’anni in una casa profumata di gentilezza e caffè, ma da quando lui è andato via le mie giornate sono diventate lunghe e silenziose.
Ho messo la poltrona con i fiori arancioni proprio accanto alla finestra, per aspettarlo.
Al tramonto, mi pare di sentire il rumore dei suoi passi stanchi e quella voce che tanto amavo ripetere “Regina, Regina!”.
Mi ha sempre chiamato così, tanto che in paese mi salutavano tutti con un “Buongiorno Regina! Buonasera Regina!”. Mi diceva che ero stata battezzata col nome di Incoronata perché portavo la corona di una regina. Ed io gli credevo…
Da qualche giorno però hanno smesso di chiamarmi Regina. Sono stata portata in un posto che non conosco. Non è lontano da casa, ma non è la mia casa.
Non ho più la comoda poltrona con i fiori arancioni e neppure la scatola di raso che tenevo sulla mensola del camino, quella in cui conservavo i fiori di lavanda che raccolgo ogni anno, a giugno, e nella quale infilavo di tanto in tanto il naso per respirarne l’odore.
Ho però una grande finestra proprio vicino al letto, con una tenda a strisce bianche e beige. Come sarebbe più bella se ci fossero dei fiori…
Se riuscissi ad alzarmi potrei guardare fuori, se riuscissi ad avvicinarmi alla vetrata sono certa che lo vedrei arrivare, lo vedrei sorridere.
Ma non riesco ad alzarmi, non ci riesco. Sono molto debole e nessuno sembra avere tempo per ascoltare una vecchia dall’aria rimbambita. Ma rimbambita non sono. Sono sempre io, la Regina di sempre! Sono quella che preparava lo strudel con la cannella e l’uvetta per le feste del vicinato, quella che curava i fiori del vivaio all’angolo, la stessa che cuciva le tende per il negozio del Corso. Sono ancora qui, non sono mai cambiata, ma rinchiusa dentro questo corpo avvizzito e affaticato non mi vede più nessuno!
Mi fanno molte domande alle quali non rispondo. Eh, no! Io non mi affanno per parlare con chi legge il mio nome sulla cartella e senza neppure guardarmi in faccia mi grida: “Incoronata, rispondi! Incoronata! Incoronata, ci senti?”
Io ci sento eccome, ma faccio finta di non capire… non sanno neppure come mi chiamo!
Quando alla sera spengono le luci, piango e penso alla mia casa.
Chissà se qualcuno si starà prendendo cura dei miei due gatti pezzati? Staranno ancora lì, sulla porta, ad attendere il mio ritorno. Ad aspettare di entrare per scaldarsi quando fuori fa troppo freddo.
Avrebbero dovuto chiedermi il permesso per portarmi qui, avrebbero dovuto farlo, quanto meno avrei preso con me quel lumicino che avevo sul comò e che mi faceva tanto compagnia di notte.
Dicono che questa sia una casa di riposo, ma qui mi stanco molto, non è vero che mi riposo. E poi mi fanno arrabbiare parecchio. Uh…
Oggi li ho sentiti dire che sono capricciosa. Per fortuna non riesco a rispondergli, per fortuna non ci riesco, altrimenti glielo direi ad alta voce, eh sì, glielo direi proprio a gran voce: “Che ne sapete voi? che ne sapete di me? che ne sapete di quando ero la Regina?”.
 
di Alina Di Mattia 

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ARTICOLO PUBBLICATO DALLO STESSO AUTORE SU IL FARO24

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