La reificazione del Fucino, il lago perduto

La reificazione del Fucino, il lago perduto

Dalla Pesca all’Agricoltura attraverso il più grande artefatto dell’antichità

di Alina Di Mattia

Quando Anassimandro (circa 610–546 a.C.) disegnò la prima carta geografica per raffigurare la Terra con i suoi luoghi e i suoi abitanti, era certamente consapevole degli elementi visibili collegati al suo contesto naturale da cui ricavare informazioni per l’elaborazione di significati. Non era forse al corrente della locuzione ‘sistema fisico-spaziale’, che sta a indicare la natura e il suo modo di esistere nello spazio, l’interpretazione che l’uomo attribuisce ad essa, le competenze e le conoscenze utili a soddisfare i bisogni primari, ma ne conosceva  di sicuro il concetto.

La natura è, oggi come allora, il frutto di ciò che l’uomo ha esperito e, soprattutto, di ciò che essa rappresenta in termini di risorse per un gruppo umano. Di conseguenza, lo stesso sistema fisico-spaziale può essere rappresentato in modo diverso a seconda del significato che tale gruppo conferisce alla natura, ma anche al patrimonio storico-artistico e alle tradizioni correlate allo stesso contesto. Significato che viene condizionato altresì dal processo di antropizzazione, ovvero nel momento in cui quel gruppo conosce l’ambiente e lo trasforma, rendendo le risorse elementi funzionali alle proprie esigenze.

Quando la natura, nella sua astrazione dal contesto ambientale, interagisce con il territorio e viene  interpretata da un gruppo umano in funzione dei propri bisogni, e allorquando incorpora i designatori (nomi dei luoghi),  gli artefatti  (elementi naturali trasformati e funzionali al diretto utilizzo) e le strutture territoriali (ovvero la regolamentazione dell’accesso e della distribuzione delle risorse), inizia il processo di territorializzazione da parte del gruppo stesso. 

A questo punto, l’ambiente,  risultato dal processo di territorializzazione da parte di un contesto umano e carico di valore antropico, diventa ambiente intelligente,  e acquista la capacità di comunicare  trasformandosi in un archivio storico che conserva le tracce dell’operato dell’uomo. Infatti, da elementi visibili collegati al contesto naturale come localizzazione, posizione, appartenenza, dimensione, forma e colore, si ricavano una serie di informazioni e conoscenze; dal contesto territoriale, invece, con diverse possibilità di interpretazione, di individuazione di relazioni e di definizione di comportamenti, si possono individuare gli elementi invisibili, ovvero conoscenze, competenze, valori, comportamenti, motivazioni, norme, ecc.. Su questo sistema di relazioni tra natura e territorio viene tessuta la cosiddetta trama umana.  Più essa risulta densa, più la rappresentazione paesaggistica acquista consistenza.

Va da sé che quando parliamo di ‘paesaggio’ ci riferiamo ad una dinamica  comunicativa piuttosto che ad una realtà oggettiva e, come sottolineato dalla Convenzione Europea, ad “una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”.

Sulle basi di questa premessa è possibile analizzare il contesto fisico-spaziale in cui è posizionata la conca appenninica del Fucino – e quindi del suo contesto naturale e territoriale – attraverso il più grande artefatto ad opera dell’uomo: il prosciugamento del lago omonimo che ha trasformato la Natura in ambiente.

Il Lago di Fucino tra Storia e leggenda

reificazione del fucino
‘Il lago Fucino e i Monti d’Abruzzo’. Dipinto di Joseph Bidauld, 1789. Metropolitan Museum of Art, New York. Link originale >>>

 

Da Rocca Cerri, paese sulla cima di una montagna, si gode il panorama della bellissima Marsica. Alla destra i picchi nevosi del Velino, alto più di settemila piedi, erano coperti da minacciose nuvole, e un’aspra catena di montagne nebbiose chiudeva quella parte della veduta. Lontano in basso, sotto uno splendido sole, c’erano la lunga distesa azzurra del lago del Fucino e la sua bella pianura, punteggiata e abbellita da boschi e da paesi; […] La pianura di Avezzano, l’azzurro chiaro del lago, Alba e il Velino con le sue belle cime, o sotto il sole oppure adombrati da nuvole passeggere, le montagne lontane oltre Sulmona coperte di neve, il passo brullo di Forca Caruso, la rupe scoscesa di Celano, tutte queste cose assieme, in una splendida mattinata italiana, facevano uno spettacolo da non potersi guardare senza esserne conquistati, o da dimenticare facilmente: che pace tutt’intorno!  […] Mi sarei trattenuto volentieri per ore, perché non ricordo altro panorama nello stesso tempo così suggestivo e così bello”.

Così il pittore e scrittore inglese Edward Lear descriveva in ‘Viaggio attraverso l’Abruzzo pittoresco’ il territorio marsicano visitato alla vigilia degli anni ‘50 dell’Ottocento.

Fu ciò che apparve alla sua vista e il modo in cui egli lo interpretò. Sono infatti le caratteristiche visibili che comunicano informazioni all’osservatore, quello che l’occhio umano può cogliere attraverso una personale selezione e interpretazione.

Partendo quindi da una carta geografica antica che rappresenta il lago di Fucino (fino al XIX secolo detto ‘Lago di Celano’),  è possibile ricavare numerose informazioni. È interessante notare quanto la predominanza della componente naturale conferisca all’ambiente quello che viene chiamato ‘paesaggio alpino’. La localizzazione, infatti, e l’individuazione di elementi e dinamiche naturali (il clima o, in questo caso, come evidenziato dal colore, la vegetazione e i rilievi montagnosi tutt’oggi perfettamente visibili), e di componenti derivate (la distribuzione di acque dolci, suoli), comunicano informazioni preziose.

Un’antica carta geografica

Designatori che comunicano il passato

Sono gli stessi nomi dei luoghi a fornire informazioni, a raccontare storie e leggende del territorio, e lo fanno attraverso i designatori. Per chiarire la funzione della denominazione (l’attribuzione di nomi ai luoghi allo scopo di controllare la realtà a livello cognitivo e simbolico), verranno presi in esame i designatori referenziali,  i designatori performativi e i designatori simbolici visibili sulla carta geografica, come segue.

A sud del lago di Fucino è localizzato il comune di Trasacco il cui nome ha origine da Transaques, ovvero ‘posto al di là delle acque’.  Evidentemente si tratta di un designatore referenziale in quanto descrive le caratteristiche fisiche del luogo, come lo è Ortus Acquarum, ovvero ‘giardino sulle acque’,  nome attribuito al comune di Ortucchio a poca distanza e sempre ubicato sulle rive del lago. 

Ad est della carta geografica è localizzata Pescina, il cui nome ha origine dalle piscine artificiali realizzate sul fiume Giovenco e finalizzate alla pesca delle trote. In questo caso si tratta di designatore performativo, proprio perché coglie la trasformazione dello spazio naturale in spazio antropizzato, ossia racconta un’attività del luogo svolta dall’uomo. Ecco come i designatori territoriali, oltre a ordinare il mondo naturale e sociale, conservano le informazioni e consentono di ricavare conoscenze sul passato del luogo tessendone la storia, proprio a partire dal nome.

In un territorio ricco di storia e intriso di simbolismo, come è appunto quello marsicano, il designatore simbolico è molto ricorrente. Secondo una delle tante leggende, infatti, il nome di  Avezzano,  il comune posizionato a nord-ovest della carta geografica, ha avuto origine da Ave Jane, il saluto che si usava fare al dio bifronte Giano il cui tempio era collocato nel territorio della città antica. Ave Jane,  quindi Avezzanum, e Avezzano.  

Lo stesso Fucino possiede un designatore simbolico. Il nome sembra derivare dal dio marino Forco, venerato intorno al primo secolo d.C., ma sono numerose le ipotesi sulle origini del toponimo.  

Nel suo libro ‘Viaggio attraverso l’Abruzzo nel 1789‘,  l’ingegnere e scrittore Carlo Ulisse De Salis Marschlins scrisse: “Si deve alle erbe aromatiche di queste sconosciute contrade d’Italia, la preparazione della così detta acqua archibugiata di Avezzano, tanto famosa per guarire le ferite.  […] Queste erbe medicinali famose vengono raccolte sul Velino, e ancora più sulla vetta più alta della Majella; ma però tutta la giogaia di quella zona è rinomata per la produzione di ogni sorta di erbe medicinali, in modo che alla data stagione, è frequentatissima da speziali ed erborizzatori di ogni paese e di ogni regione.

[…] ed io ritengo, insieme ai comentatori dell’Ostìensis, che la leggenda della Dea Angitia, alla quale si vuole fosse consacrato un tempio in un boschetto nei pressi di Luco, per aver insegnata l’arte di curare le malattie con l’applicazione di certe date erbe, debba essere derivata dall’abbondanza sempre esistita in questi luoghi, di erbe medicinali. E si spiega anche così la nomèa di stregoni che avevano presso i Marsi, gli empirici ed i preti, i quali, in ispecial modo e per i loro fini ascosi, usavano di questa cura primitiva per guarire miracolosamente le morsicature di bestie velenose”. 

Ed infatti i designatori simbolici li troviamo anche nella denominazione di Luco dei Marsi, il cui nome ha origine da Lucus Angitiae, ovvero ‘il bosco di Angizia’, la dea delle erbe e dei serpenti che secondo la leggenda abitava i boschi limitrofi. 

L’analisi dei designatori di questa porzione di territorio della provincia dell’Aquila si conclude con Cerchio, il comune localizzato a nord della carta geografica, il cui nome potrebbe avere origine dal latino ‘circulus’, ad indicare la conformazione del nucleo urbano.

Il toponimo potrebbe derivare anche dall’esistenza, in passato, di una sorta di spazio circolare destinato a giochi e spettacoli per l’intrattenimento degli antichi romani stanziati nel territorio. La leggenda vuole però che il nome fosse dedicato alla Maga Circe, sorella di Angizia, che fondò il borgo.  

La reificazione come controllo pratico e materiale della realtà: la bonifica del lago

Partendo dall’epoca dell’imperatore Claudio e fino all’operato del principe Torlonia, con l’ausilio del documentario Il Fucino prosciugato, è possibile un immediato approccio al concetto di reificazione del territorio attraverso quello che è il più grande artefatto dell’antichità: il prosciugamento del lago di Fucino.

Ventidue anni di lavoro e 30 milioni di lire impiegati dai principi Torlonia per “trasformare il Fucino nel granaio di Roma”.

Fin dai primi secondi del filmato, sulla piana del Fucino possono essere individuati gli artefatti ad opera dell’uomo: dai più antichi  cuniculi di Claudio per far defluire le acque, a strade, ponti, canali, gallerie, capannoni, e persino ad un centro spaziale per le comunicazioni tra i più importanti al mondo! Ma l’artefatto territoriale più evidente è rappresentato proprio dall’avvio della coltivazione dei prodotti della terra su quello che era il fondo del lago, un reticolo di campi fortemente dipendente dalle pratiche umane, come quella agricola. Tale reificazione del territorio, avvenuta attraverso il prosciugamento del lago, con la conseguente appropriazione delle terre emerse da coltivare, trasformò radicalmente le attività tanto da assumerne carattere di naturalità.

La bonifica delle acque non fu però un passaggio indolore per la popolazione locale: la scomparsa del terzo lago più grande d’Italia causò la rottura degli equilibri climatici e la diminuzione della diversità floristica provocando dissesti ecologici. Il mutamento delle caratteristiche ambientali contribuì alla scomparsa di uliveti dai quali si ricavava un ottimo olio, di vite, noci, mandorli e frutteti,  come denunciato da La Gazzetta dell’Aquila, nel giugno del 1882.

Scriveva il poeta latino Virgilio: “della gente marruvia sacerdote, ecco viene, e sopra l’elmo cinge corona d’olivo fecondo […] il fortissimo Umbrone”. (Eneide).  

La situazione economica, già precaria con la scomparsa della Pesca, fu peggiorata da un alto tasso di umidità e dalle frequenti precipitazioni che sembravano accanirsi sulle terre emerse del Fucino, quasi a restituire l’acqua loro rubata. “L’oro di un principe ci prese il lago che era la nostra bellezza e la nostra ricchezza” scriveva all’epoca lo scrittore locale Pennazza.

Ci volle un lungo processo di identificazione delle risorse ambientali e naturali, e della messa in opera di artefatti territoriali funzionali al diretto utilizzo del gruppo umano, prima di arrivare ad un miglioramento delle condizioni agronomiche e, di conseguenza, all’aumento di reddito delle popolazioni locali che permettesse loro una buona qualità della vita.

Il malcontento tra i contadini fece sì che alla famiglia Torlonia subentrasse l’Ente Maremma e Fucino che trasformò le strutture territoriali con la regolamentazione di accesso e la distribuzione delle risorse ai contadini – circa 11.248 affittuari – impiantando tutte quelle logiche di contesto, individuali e di sistema che tutt’oggi caratterizzano la piana. Attualmente il Fucino è un ente a sé.

ll Centro Spaziale “Piero Fanti” del Fucino – Telespazio

 

I sacrifici della popolazione e il superamento degli interessi di un ristretto numero  di stakeholder, permisero una decisiva strutturazione utile alla crescita della collettività e ad una nuova dimensione identitaria, generando lavoro e ricchezza attraverso la coltivazione e la grande distribuzione organizzata dei prodotti agricoli, ma anche mediante lo sviluppo e l’innovazione tecnologica avviata con la realizzazione del Telespazio del Fucino, il centro spaziale che, nel 1986, cambiò la storia di Internet. Ma questa, a parte la nostalgia del lago perduto che i nostri occhi continuano a vedere e ad immaginare, è una rara storia di reificazione con una sorta di lieto fine.

Articolo pubblicato su Il Faro24 dallo stesso autore